Lectio Divina:
NELLA SPEZZARE IL PANE IL RICONOSCERE
(don Steno Santi)
Eucaristia è… alleanza con Dio
ESODO 24, 8-11
Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole! “. Poi Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani di Israele. Essi videro il Dio d’Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffiro, simile in purezza al cielo stesso. Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e tuttavia mangiarono e bevvero.
L’alleanza è un patto, un impegno che si prende tra due parti. Nel passo dell’Esodo 24 è descritta l’alleanza tra Dio e il suo popolo. La storia sia dell’Antico sia del Nuovo testamento ci rivela che il patto può essere tradito da uno dei due contraenti.
Rimane però la fedeltà di Dio. E questa è la nostra speranza. Però qualche volta, come Giobbe, siamo anche tormentati dall’interrogativo che il patto non sia stato mantenuto neppure da Dio. Ci sono degli eventi, che ci pongono interrogativi drammatici.
Abbiamo però pensato e vissuto questo patto, come un rapporto contrattuale. “Do, ut des”. Il giovane ricco del Vangelo dice a Gesù: “…cosa devo fare per avere…” (Mc. 10, 17). Nell’alleanza nuova, che Gesù ha istituito, questo concetto è totalmente sovvertito. Questo è il mio corpo che per voi è dato. Questo è il mio sangue che per voi è sparso.
La nuova Alleanza.
Il patto è dono gratuito, totale, libero, continuo. Dio si affida, si dona a noi. Noi ci affidiamo a Lui. Il rapporto è di amore. Non la ricerca di un vantaggio. L’amore dimentica di misurare, contrattare, di vedere se i conti tornano. È totalità del dono, assoluta gratuità, libertà da se stessi, nell’affidamento totale alla libertà dell’Altro.
Eucaristia è… risposta
Marco 6,34-42:
Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: “Questo luogo è solitario ed è ormai tardi; congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini possano comprarsi da mangiare”. Ma egli rispose: “Voi stessi date loro da mangiare”. Gli dissero: “Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?”. Ma egli replicò loro: “Quanti pani avete? Andate a vedere“. E accertatisi, riferirono: “Cinque pani e due pesci”. Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta. Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e si sfamarono.
“Gesù vide una grande folla e ne ebbe pietà”: pecore senza pastore.
Vide: lo sguardo di Gesù è sempre un atto di amore. (Mc. 10, 20) Il giovane ricco.
“Gesù guardandolo, lo amò”. Guardando con amore questo nostro tempo, questa umanità, le nostre comunità parrocchiali, le nostre famiglie, la nostra vita, Gesù e anche noi stessi, quali disorientamenti vediamo?
Gli apostoli hanno una soluzione logica, di buon senso, pratica. Ognuno pensi a sfamarsi da sé, “congedali, vadano, comprino”. Ma Gesù coinvolge gli apostoli nel disagio della gente, li mette dentro lo smarrimento e la fame delle persone.
“Date loro… Quanti pani avete?” E il pane si moltiplica, mentre viene distribuito. Forse il miracolo non è solo nel “moltiplicare”, ma soprattutto nel “distribuire”. Si possono aumentare le risorse umane, moltiplicare ricchezze e benessere, riempire di pane la nostra mensa fino anche a gettarlo via, ma se non facciamo il miracolo della distribuzione, rimarremo prigionieri dei nostri “cinque pani e due pesci” con tanta gente che muore per mancanza di pane e d’amore. Distribuire, donare un sorriso, una parola, un poco del nostro tempo, una preghiera a chi si trova nella sofferenza o nello smarrimento è un miracolo, che moltiplica il bene e la speranza nel mondo.
“Questo è il mio corpo … mangiatene tutti” “Questo è il mio sangue … sparso per voi e per tutti”.
Nell’Eucaristia, il Signore si consegna a tutti, dono di amore e di salvezza.
Eucaristia è… memoriale
Luca. 22, 14-15; 19-20:
Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione. Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me “. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi “.
“Fate questo in memoria di me”
la Cena del Signore è un memoriale. Non è un ricordo di un avvenimento, passato, una commemorazione. Celebrando l’Eucaristia:
Evochiamo la liberazione portata da Cristo, non la sua morte e resurrezione.
Attualizziamo la morte e resurrezione del Signore.
Invochiamo su di noi la redenzione. Cristo intercede per noi.
Ci impegniamo a vivere la carità. “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane”. (1 Cor. 10,17).
Allora non basta che io sia presente e guardi, non basta che ascolti con attenzione quello che si dice e quello che si fa, non basta pregare e cantare. Bisogna entrare dentro, come attori, partecipando all’Evento che si attua per noi in quella chiesa, in quel giorno, in quel momento della giornata. Un memoriale partecipato, vissuto.
Devo essere attore, devo entrare a fare la mia parte nel dramma della croce, nella luce della resurrezione, nella gioia del convito. I fedeli imparino ad offrire se stessi. L’Eucaristia è il più grande atto di amore di Gesù al Padre ed all’umanità. E se sono entrato in questo atto di amore, tutta la vita è trasformata.
Quando nella S. Messa senti la parola “memoriale” apri bene il cuore. Sta attento alle parole che seguono quella parola. Ogni preghiera eucaristica è un arricchimento ed una spiegazione della parola Memoriale. E ricordati: quando esci di chiesa dopo aver partecipato alla Cena del Signore, devi tu continuare, nel quotidiano, a “fare questo in memoria del Signore morto e risorto”.
Eucaristia è… cammino e annuncio
Luca. 24,13-19; 28-35:
Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni? “. Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo.” Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino “. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”. E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”. Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Questo stupendo racconto è la storia di un viaggio spirituale attraverso le strade desolate del dubbio, in mezzo alla terra oscura delle crisi di fede. Eppure in questa via l’uomo non è mai solo, c’è sempre una presenza segreta di Dio. “Ogni nostra oscurità trascina con sé una gemma di luce”
(S. TERESA D’AVILA).
Sono in cammino due discepoli: Cleopa e un altro senza nome. Forse ciascuno di noi può dargli il suo. Discutono tra loro “con il volto triste”.
È il ritratto vivace di una sofferta delusione.
Recitano per l’ultima volta un “Credo” ormai spezzato: “Noi speravamo, un uomo potente in opere e parole…”. Non so se questa esperienza ha attraversato qualche volta la nostra vita. L’estraneo ripropone il “Credo” cristiano attraverso un viaggio nelle scritture. A quelle parole il cuore dei due ritorna ad “ardere”.
Crediamo veramente alla potenza della Parola di Dio? Emmaus è la meta spaziale, ma anche la nostra meta spirituale. Il cammino, l’ascolto, l’accoglienza del misterioso compagno di viaggio, diventa preghiera, invito, amicizia: “Resta con noi”. Ad Emmaus quella cena in una modesta casa palestinese, sostituisce i gesti di un’altra cena, quella dell’ultima sera terrena di Gesù. Dinanzi al pane eucaristico spezzato “i loro occhi si aprirono e lo riconobbero”.
Riconoscere nella Bibbia è il verbo della fede. La scintilla iniziata ad ardere durante il viaggio, ora è un incendio. L’esperienza di Cleopa e del suo amico diventa possibile a noi oggi: il Cristo risorto ha celebrato in quel giorno e celebra ogni giorno con noi e per noi la liturgia della Parola e dell’Eucaristia. I discepoli di Emmaus non possono tenere nel chiuso della loro casa e della loro coscienza l’esperienza vissuta. Partono subito per annunziare a Gerusalemme la loro gioia.
Eucaristia è… condivisione e letizia
Atti 4, 32-35:
La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno.
Mi sembra che da questa pagina scaturiscano alcune indicazioni che dovrebbero dare, alle nostre comunità e a noi stessi, la direzione del nostro cammino cristiano.
- “Un cuore solo e un’anima sola”.
Non è una bella frase soltanto. Questa fusione di anime e di cuori, portava le prime comunità cristiane perfino alla condivisione dei beni materiali. Allora la frase diventa scomodissima per noi che non riusciamo a trovare unità neanche nelle piccole cose. Un cuore solo e un’anima sola Si tratta di orientare in modo concorde i nostri impegni, le nostre attività verso la costruzione di quella Chiesa Eucaristica di cui parla il Papa nella Lettera Enciclica. Un cuore solo e un’anima sola Non solo stima reciproca, fiducia vicendevole, ma soprattutto progettare insieme, lavorare insieme, condividere gioie, speranze, sofferenze, pregare insieme, spezzare insieme il Pane, con gioia e letizia.
- “Testimoniare Cristo Risorto”.
È il compito della evangelizzazione. È la linea di quella scelta religiosa operata dall’Episcopato italiano e ancora prima dall’Azione Cattolica. Scelta religiosa non significa disimpegno e chiuderci in sacrestia. Significa invece presenza. Significa rifiuto delle posizioni integraliste, rifiuto della concorrenza. Desiderio di lavare i piedi al mondo, perché questo, ristorato da un lavacro di amore, senta la gioia e la certezza della salvezza operata da Gesù Cristo morto e risorto. Gesù è il Risorto: allora non dobbiamo aver paura dei problemi della terra. Allora dobbiamo denunciare le gravi forme di violenza e di ingiustizia presenti nel nostro territorio. Rifiutare la riduzione della Chiesa a pura forza sociale, che desidera recuperare un potere perduto, ma essere testimoni della speranza, che si nutre della certezza della Resurrezione.
- “Scegliere gli ultimi”.
“A ciascuno veniva dato secondo il suo bisogno “. Chi sono gli ultimi nei nostri paesi, nelle nostre parrocchie? Ci poniamo di fronte ai poveri, in termini di beneficenza, di elemosina, o invece in termini critici di analisi, studio, lotta, profezia, condivisione? Ricordo di aver letto questa espressione: “Non mi interessa sapere chi sia Dio. Mi interessa sapere da che parte sta”. Dobbiamo cercare di trovare il rapporto tra l’Eucaristia e i problemi di vita dei fratelli.
Eucaristia è… cuore e giustizia
Luca 11, 37-44):
Dopo che ebbe finito di parlare, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli entrò e si mise a tavola. Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. Allora il Signore gli disse: “Voi farisei purificate l’esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Piuttosto date in elemosina quel che c’è dentro, ed ecco, tutto per voi sarà mondo. Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgredite la giustizia e l’amore di Dio. Queste cose bisognava curare senza trascurare le altre. Guai a voi, farisei, che avete cari i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo”.
Gesù accetta un invito a pranzo.
Invita però il fariseo, occupato e preoccupato della osservanza di norme esteriori, ad un severo esame di coscienza. Gesù, presente nella nostra celebrazione eucaristica (sacrificio – convito), “memoriale” della Sua morte e resurrezione, potrebbe rivolgere anche a noi l’invito ad una seria verifica, ad un sereno esame di coscienza.
Spesso l’esteriorità, la “cerimonia” soffoca la grandezza “dell’evento”, la luce del mistero che abbiamo vissuto, celebrato e la gioia di un amore ricevuto e da donare. Siamo soddisfatti perché tutto, da un punto di vista formale, esteriore, è andato bene: canti, cori, coreografie… spettacolo. “Che bel matrimonio. Che bella messa”.
Il rito esteriore è importante, deve essere preparato, osservato con cura e diligenza, senza atteggiamenti strani, ma come espressione della “Realtà”, che si celebra, come segno che aiuta a vivere il “Mistero” che ci viene donato. Il rischio è che il segno diventi più importante “dell’Evento “, l’esteriorità del rito ci faccia perdere di vista la sacralità della celebrazione.
Allora il ritualismo esteriore può diventare “un peso difficile da sopportare” e allontanare anche dalla partecipazione, oppure ridurla ad una pratica da sbrigare, o ad una cerimonia tradizionale da compiere. C’è una preparazione personale, interiore alla celebrazione e un ringraziamento raccolto per il dono ricevuto? Oppure siamo occupati a “pulire solo l’esterno del piatto, ma il nostro interno è colmo di iniquità”? La purezza autentica davanti a Dio non si basa sui riti, le cerimonie, ma sulla totalità dell’agire umano, che prende valore dall’interno, dalla coscienza. La vera purezza interiore consiste nella dedizione di tutto l’uomo a Dio, si esprime concretamente nella carità fattiva, nella giustizia che, nel linguaggio biblico, è detta elemosina.