Era il 6 febbraio, Sabato – 7 Domenica 1971 \ E’ il 6 febbraio, Sabato – 7 Domenica 2021 V DOMENICA T. O. b
1. La polvere del terremoto. Ricopre tutto: un manto di borotalco grigio. Ti si appiccica addosso, dappertutto, fuori degli occhi; ti vorrebbe entrare dentro, ci entra … solo gli occhi si difendono.
Che grandezza le lacrime! Vincono la polvere del terremoto. E da una faccia irriconoscibile ti spuntano fuori due pupille smarrite, sole, tragicamente spalancate sul nulla.

E riescono a farti vivere oltre la morte, la distruzione, il caos. Il mio gattino, la mia cameretta, la mia mamma, il mio papà, il mio figlio. Sotto questa polvere. Le lacrime non sono riuscite a tenerne gli occhi puliti. Un lamentoso abbaiare e guaire di cani, scuotimento di serrande, un boato immenso. E il buio. E cercare.
Le letture della Messa di oggi appartengono a questi sentimenti: “a me sono toccati mesi d’illusione e notti di affanno mi sono state assegnate”.
Unire insieme la memoria del terremoto al Covid 19 di oggi: ripensare, in una preghiera rattristata, a Super flumina Babylonis (Salmo 137) e narrare, esuli dagli affetti e dalla vita di fede e sociale, eclissati come nemici in giorni che esigono fraternità. Come sono lunghe le notti di morte e come giunge presto e freddo il mattino per alzare lo sguardo e sentire mormorare appena, ma da tutti: ho dedicato l’esistenza a questo figlio, a questa madre, a questo padre. Ho faticato una vita per questa casa e adesso che cosa e per chi mi rimane? Silenzio, ricordi terribili. Gesù stesso, come noi, ne ha avuto sgomento. Avrebbe voluto allontanarsene. Giovani soccorritori, tutto il giorno indaffarati se qualche necessità potevano soccorrere, la sera, attorno ad un fuoco improvvisato, mettevano mano alla chitarra e innalzavano canti vaganti nel deserto annunciando speranza. E bello era condividere un panino con ragazze e ragazzi venuti da lontano per soccorrere, senza nemmeno un maglione di riserva o un pezzo di pane. Oggi, come allora, nella realtà, spaventa essere soltanto capaci di dire: “Quando mi corico, mi dico: ‘Quando mi alzerò?’. La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba. I miei giorni scorrono più veloci d’una spola, svaniscono senza un filo di speranza. Ricòrdati che un soffio è la mia vita”. E domandarci ancora: “Il mio occhio non rivedrà più il bene?”.
2. Oggi bisogna fare memoria della bellezza: la solidarietà ritrovata di quei giorni; porte aperte, nella disperazione, alla speranza.
Il mattino arriva così come se ne va la sera: cuori e bocche pregano. Sollevati da molte sofferenze e ancora incerti del futuro. L’umile, il sapiente, sa trovare, possedere bellezza. E’ possibile conciliare il dolore, la tragedia umana con la croce di Cristo. Gesù “al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”.
Ci vengono inflitte, oggi, pene e preoccupazioni forse peggiori. E’ bello meditare non un grido di barbara vendetta, contro ripetuti aguzzini, pensando, con questo, di implorare giustizia, ma un inno forte al futuro. Per cambiare, questi terrestri che siamo, abbiamo bisogno, come Gesù, di alzarci insonni “al mattino presto quando ancora è buio e, usciti, ritirarci in cerca di un luogo deserto, e là pregare”. Piangere di speranza per il passato e per l’incertezza del futuro: i giorni e gli anni che seguiranno non portino, ancora una volta, tristi notizie.
A chi sarà capace, insieme a Gesù, di cantare e testimoniare, dovremo correre a dire: «Tutti ti cercano!». E metterci, alla sera e fino a notte, alla ricerca l’uno dell’altro: dov’è mio padre, mia madre, dove sono i miei? E trovarli e pregarli. E andare per ogni Galilea, predicando e scacciando demòni.
Al di là di questo ideale ambito, l’unica invocazione di sollievo, quella che ci ha lasciato Gesù e ci ha riconsegnato Papa Francesco: “Non abbandonarci!”. Non andartene nei villaggi vicini! Rimani quando si fa sera! Aiutaci! E verremo con te anche noi nei villaggi vicini ad annunciare la tua salvezza! Per questo infatti siamo chiamati!
Non si tratta di partire da Tuscania e andare ad Arlena o Tessennano: si tratta di percorrere con coraggio strade mai percorse mettendo i piedi dove li ha posti Gesù stesso.