Il cammino di Pasqua con don Steno Santi:
Nello spezzare il Pane il riconoscere
Eucaristia è… cuore e giustizia (Luca 11, 37-44)
Dopo che ebbe finito di parlare, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli entrò e si mise a tavola. Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. Allora il Signore gli disse: “Voi farisei purificate l’esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Piuttosto date in elemosina quel che c’è dentro, ed ecco, tutto per voi sarà mondo. Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgredite la giustizia e l’amore di Dio. Queste cose bisognava curare senza trascurare le altre. Guai a voi, farisei, che avete cari i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo”.
Gesù accetta un invito a pranzo.
Invita però il fariseo, occupato e preoccupato della osservanza di norme esteriori, ad un severo esame di coscienza. Gesù, presente nella nostra celebrazione eucaristica (sacrificio – convito), “memoriale” della Sua morte e resurrezione, potrebbe rivolgere anche a noi l’invito ad una seria verifica, ad un sereno esame di coscienza.
Spesso l’esteriorità, la “cerimonia” soffoca la grandezza “dell’evento”, la luce del mistero che abbiamo vissuto, celebrato e la gioia di un amore ricevuto e da donare. Siamo soddisfatti perché tutto, da un punto di vista formale, esteriore, è andato bene: canti, cori, coreografie… spettacolo. “Che bel matrimonio. Che bella messa”.
Il rito esteriore è importante, deve essere preparato, osservato con cura e diligenza, senza atteggiamenti strani, ma come espressione della “Realtà”, che si celebra, come segno che aiuta a vivere il “Mistero” che ci viene donato. Il rischio è che il segno diventi più importante “dell’Evento “, l’esteriorità del rito ci faccia perdere di vista la sacralità della celebrazione.
Allora il ritualismo esteriore può diventare “un peso difficile da sopportare” e allontanare anche dalla partecipazione, oppure ridurla ad una pratica da sbrigare, o ad una cerimonia tradizionale da compiere. C’è una preparazione personale, interiore alla celebrazione e un ringraziamento raccolto per il dono ricevuto? Oppure siamo occupati a “pulire solo l’esterno del piatto, ma il nostro interno è colmo di iniquità”? La purezza autentica davanti a Dio non si basa sui riti, le cerimonie, ma sulla totalità dell’agire umano, che prende valore dall’interno, dalla coscienza. La vera purezza interiore consiste nella dedizione di tutto l’uomo a Dio, si esprime concretamente nella carità fattiva, nella giustizia che, nel linguaggio biblico, è detta elemosina.