Isaìa 35,1-6a.8a.10; Salmo 145 (146); Giacomo apostolo 5,7-10; Matteo 11,2-11
Non è tempo d’attesa
«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Capaci di scoprire il volto di Dio nei fratelli che hanno fame, sono malati, divenuti un rifiuto?
Personalmente non sono capace: constato di essere un sottoprodotto della civiltà dell’utile. La società dell’utile è benestante; produce rifiuti e si lamenta perché non sa dove buttarli. Quando gli anziani affermano “non servo più a nulla che sto a fare?” occorre esser capaci di far comprendere quanto sono importanti testimoni del bello.
Il ‘c’ho da fa’ imprigiona ogni buona intenzione; condiziona la vita al punto di essere posseduti dal dio denaro; distrugge la vita familiare costringendo a ritmi insostenibili l’unità della famiglia.
La comunità dei credenti rischia di ritrovare il bisogno di riunirsi e di sentirsi insieme in occasioni prefabbricate dai trafficanti di morte. Se si vuole giungere ad un linguaggio cristiano c’è necessità assoluta ed immediata di una conversione radicale.
Il presepe di S. Francesco è divenuto uno spettacolo folcloristico che più si pavoneggia, più porta denaro. Il ‘fenomeno’ religioso, non più ‘di fede’, è usato allo stesso scopo: convertire in essenziale ciò che era strumento soltanto utile. L’orrore è che di fronte a certe manifestazioni diciamo: ‘è bello’!Nei rifiuti è compreso tutto ciò che non è utile e viene racchiuso in un pre-mondezzaio. E’ brutale dirlo così. Ma così è!
La ribellione individuale non può avere successo: le rimane soltanto il pianto.
Papa Francesco parla di ‘società dello scarto’. La grande comunità più non esiste: esistono piccole realtà familiari e di gruppo che non hanno alcuna possibilità di essere comunità educanti, anch’esse conquistate dalla ricerca dell’utile.
Importante è fare tutti contenti: “Lo vedi? Sono tutti contenti!”. Non è doveroso ‘fare tutti contenti’, ma ‘fare tutti educati, tutti formati’. Battesimo, prima comunione, cresima, matrimonio servono a fare tutti contenti per un giorno e succubi di una società che si dice cristiana ed è ‘cristianamente atea’.
«Che cosa siete andati a vedere nel deserto?»: è ripetuto oggi non per il ricordo del ‘ieri’ o del ‘2000 anni fa’.
Il Vangelo non è per scribi e farisei: è per noi ipocriti di oggi.
Quando riconosciamo menzognera la realtà, la attribuiamo ad altri: «Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati». L’errore è lamentarsi degli altri senza aver corretto se stessi. Lamentarsi del male non guarisce le infermità: si è ancora «canne sbattute dal vento, vestite con abiti di lusso?».
Cosa, chi dobbiamo «andare a vedere?». Dobbiamo ricreare e ritrovare in ogni testimone del Vangelo «un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta».
I credenti, liberi di aderire, sono chiamati ad assumere la missione di «preparare la sua via».
Chi avrà proposto la conversione sarà salvo e, se avrà avuto successo con se stesso, lo avrà anche con gli altri.
Giovanni si è lamentato degli altri, ma non è stato una canna del deserto sbattuta dal vento e sempre più arida; ha mostrato «la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio». La contemplazione del fatto che «fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista» ci è richiesta, ma non è abbastanza per un testimone perché «il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Ecco la missione del credente oggi: «Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio. Egli viene a salvarvi».
Se con Maria domandiamo ‘come potrà avvenire’, ecco la risposta della Parola: «Rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina».