1Re 19,9.11-13; Salmo 84 (85); Romani 9,1-5; Matteo 14,22-33
Rubare il Cielo
Al comando di Gesù, sul mare in tempesta, «il vento cessò! I discepoli si prostrarono dicendo: Davvero tu sei Figlio di Dio!»: Come è poca cosa, fratelli, riconoscere Gesù per Figlio di Dio solo perché fa calmare il vento!
Attendiamo fragore di spettacolo ed occorrerebbe silenzio. Attendiamo vociare, gridare, saltare.
Uscendo dalla Messa, abbiamo mai saltato di gioia, proclamando le glorie del Signore? Eppure Pietro fece così; eppure, i piccoli, hanno spesso proclamato: “Quante cose belle, il sacerdote, ha detto di Gesù!?”. Occorre, forse, silenzio per ascoltare la direzione del soffio dello spirito e augurarsi che soffi forte.
Il profeta Elia cercava il dialogo con Dio per spianare i colli ed innalzare le valli, lo attendeva in «un vento impetuoso e gagliardo, in un terremoto, nel fuoco, ma il Signore non era» lì. Chi percorre la strada e dona salvezza non ha bisogno di frastuono, di calore, di battiti di mano, ma di battiti soffusi di cuori; ha bisogno della «voce tenue del silenzio». Elia «l’udì, si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna».Per dialogare con Dio Elia ebbe esigenza di tre cose: coprirsi il volto davanti allo Spirito, uscire, fermarsi all’ingresso della caverna tenebrosa della storia umana.
Gesù: ha bisogno, a sua volta, di tre cose: «salìre sul monte, in disparte, a pregare». La seconda: essere «da solo»; soli, sul monte, quando ti acclamano! Gesù rifiuta e sale a colloquio con il Padre. La terza: «Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca». Gesù dovette costringere, forzare i suoi per non fermare la ricerca del Regno di chi presumeva di essere giunto alla meta. In realtà, i discepoli, ben poco avevano compreso di ciò che era accaduto: a malincuore, si decisero ad ubbidire ed a «precederlo sull’altra riva».
Per comprendere la continua ed assidua presenza del Signore occorre offrirgli occasioni: Egli si fa presente nei momenti tristi della esistenza quando si ha impressione che tutto termini, finisca; che tu abbia completato i tuoi passi.
C’è ancora da remare e camminare.
Soli sul monte o sperduti in un mare tempestoso, ci si perde di speranza come i discepoli che «gridarono dalla paura». Avere paura della salvezza, paura della speranza, quando la barca viaggia veloce non è evangelico; è necessario, invece, che il vento non comandi la barca: ci sia un buon nocchiero.
«Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Il Signore è presente e non ce ne accorgiamo. Pietro comprese, «scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù». Anche lui «s’impaurì e gridò: Signore, salvami!». Ebbe paura della speranza: camminava già sulle acque e gli sembrò non vero.
Quante volte ho gridato al Signore e non ho atteso risposta! Ho continuato a gridare e non ho dato modo alla voce tenue del silenzio di farsi ascoltare. Anche nel fragore di una vita spezzata il silenzio ha parlato: «Perché hai dubitato?». «E subito Gesù: «Uomo di poca fede!» rimproverò, ma «gli tese la mano».
Da quel giorno poco è cambiato: si aspetta che Gesù faccia calmare il vento; dovremmo essere gioiosi che un vento impetuoso spinga la barca, nella notte, guidati dalla voce tenue del silenzio.
Vento, Spirito; Luce, Notte, Silenzio: sono troppe le cose che debbono coesistere? Non sono valori alternativi; hanno necessità del ‘non dubitate’ e della estrema invocazione ‘salvami’: il ladro sulla croce lo gridò mentre gli rompevano le ginocchia. Con le ossa spezzate dai malvagi, fu afferrato da Gesù e giunse al Paradiso.
Siamo ladri, con le ossa delle ginocchia spezzate. Riusciamo a rubare il cielo.
(didon)