Lectio Divina:
CAMMINARE NELL’AMORE
(don Steno Santi)
- Chi ama dona con gioia
Matteo 25, 31-40:
Quando il Figlio dell’uomo verrà nel suo splendore, insieme con gli angeli, si siederà sul suo trono glorioso. Tutti i popoli della terra saranno riuniti di fronte a lui ed egli li separerà in due gruppi, come fa il pastore quando separa le pecore dai capri. Metterà i giusti da una parte ed i malvagi dall’altra. Allora il re dirà ai giusti: – Venite, voi che siete i benedetti dal Padre mio; entrate nel regno che è stato preparato per voi fin dalla creazione del mondo. Perché, io ho avuto fame e voi mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato; ero nudo e mi avete dato i vestiti; ero malato e siete venuti a curarmi; ero in prigione e siete venuti a trovarmi. E i giusti diranno: – Signore, ma quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo incontrato forestiero e ti abbiamo ospitato o nudo e ti abbiamo dato i vestiti? Quando ti abbiamo visto malato o in prigione e siamo venuti a trovarti? Il re risponderà: – In verità, vi dico che tutte le volte che avete fatto ciò a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, lo avete fatto a me.
Matteo si rivolge alla sua Chiesa, bisognosa di ritrovare l’attenzione per il futuro ed una fedeltà per il presente.
Il brano si apre con una solenne presentazione del Giudice. (Cfr. Daniele 7, 13-14; Matteo 16, 27; 19, 28)
Entrano poi coloro che dovranno essere giudicati: sono tutti i popoli. Il giudizio ha un carattere universalistico.
Poi c’è l’azione giudicatrice: una netta separazione, come il pastore divide le pecore dai capri. E risuona la sentenza: agli uni un destino eterno di gloria, agli altri la perdizione definitiva. Il giudice si identifica con i fratelli più bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, e prigionieri.
Tra Gesù, il figlio dell’uomo, e gli indigenti esiste una misteriosa solidarietà. Chiunque versa in condizioni disagiate o disumane, si trova perciò stesso unito strettamente a lui, entra a far parte della sua realtà personale.
Nel giudizio non ha alcun peso sapere o non sapere che Gesù è presente nei poveri soccorsi o trascurati. Vale solo l’aver fatto o non fatto. Anche senza saperlo hanno già incontrato il giudice di fronte al quale sono raccolti ed Egli ha già incontrato loro.
Il giudizio è un secondo incontro rigorosamente legato al primo. La storia umana non è avviata, destinata ad una fine, un termine, ma è in cammino verso un fine, un traguardo, un incontro con Qualcuno che già cammina con noi e tra noi nei fratelli, sulla strada del tempo.
- Chi ama dimentica i torti ricevuti
“Conserviamo l’unità dello spirito nel vincolo dell’amore” (Efesini 4, 3)
Matteo 5, 23-24:
“Perciò, se stai portando la tua offerta all’altare di Dio e ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì l’offerta davanti all’altare e vai a far pace con tuo fratello, poi torna e presenta la tua offerta.
È una breve, ma forte esortazione al perdono.
Risente del contesto palestinese in cui la comunità cristiana partecipava ancora ai riti nel tempio di Gerusalemme.
La liturgia, la preghiera esige di essere vissuta in una comunità fraterna. Davanti all’altare di Dio, trovano posto soltanto uomini riconciliati tra loro.
E questa riconciliazione è urgente, non c’è tempo da perdere: “Va, al più presto”. Non può essere rimandata.
Questo è il tempo propizio dell’amore e della salvezza, che Gesù ci affida e ci offre. “Ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te”. Non che tu hai qualcosa contro di lui. Questo non ti dice nulla? Stai “portando” l’offerta e ti ricordi … “lascia, corri, poi ritorna...”. Tutti i verbi di movimento, non solo e non tanto esterno, fisico, ma interiore.
È il movimento dell’anima e del cuore. È aprire la vita a spazi infiniti e creativi di amore. Il perdono non è un gesto, ma un cammino, spesso faticoso, verso Dio e verso i fratelli. È sempre nuovo come la creazione, sempre necessario come la Salvezza. Fra’ Cristoforo nei ‘Promessi sposi’ dice a Renzo che non vuole perdonare Don Rodrigo: “forse Dio aspetta un tuo atto di misericordia, per usargli Misericordia”.
Chi ama dona senza vantarsi
Marco 12, 41 – 44:
Gesù andò a sedersi vicino al tesoro del tempio e guardava la gente che metteva i soldi nelle cassette delle offerte. C’erano molti ricchi i quali buttavano dentro molto denaro. Venne anche una povera vedova e vi mise soltanto due monetine di rame. Allora Gesù chiamò i suoi discepoli e disse: “Io vi assicuro che questa vedova,povera com’è, ha dato un’offerta più grande di quella di tutti gli altri! Infatti gli altri hanno offerto quel che avevano d’avanzo, mentre questa donna, povera com’è, ha dato tutto quel che possedeva, quel che le serviva per vivere”.
Marco a conclusione dell’insegnamento pubblico di Gesù a Gerusalemme, pone il piccolo episodio della vedova, che mette nella cassetta delle offerte ciò che serve al suo sostentamento quotidiano.
Gesù si trova nel tempio, nella sala riservata alle donne, dove sono collocate tredici cassette a forma di imbuto per ricevere le offerte. E osserva la gente, che getta denaro nelle cassette. I ricchi ne gettano molto.
La quantità è vista come segno di valore, di importanza, di grandezza, di potere. Esibire se stessi davanti a Dio e ai fratelli. L’offerta non è un dono gratuito, ma è un arricchire se stessi. Una società individualista, è egoista.
“Non sapendo più fare le cose belle, cerca di costruirle enormi”.
La quantità diventa la misura dell’uomo. Più dai, più sei. La vedova getta, di nascosto, senza essere notata da alcuno, due spiccioli, quasi niente, ma è tutto. Un niente che vale una vita. Ha dato più di tutti. Gesù la vede e la dona come segno, come icona di una vita piena di amore, generosità, silenzio.
Chi ama di tutti ha fiducia
Marco 2,15- 17:
Più tardi Gesù si trovava in casa di Levi a mangiare. Con lui e con i suoi discepoli c’erano molti agenti delle tasse e altre persone di cattiva reputazione. Molta di questa gente infatti andava con Gesù. Alcuni maestri della legge, i quali erano del gruppo dei farisei, videro che Gesù era a tavola con persone di quel genere. Allora dissero ai suoi discepoli: “Perché mangia con quelli delle tasse e con gente di cattiva reputazione?” Gesù sentì le loro parole e rispose: “Le persone sane non hanno bisogno del medico; ne hanno bisogno invece i malati. lo non sono venuto a chiamare quelli che si credono giusti, ma quelli che si sentono peccatori”
Gesù mangia con i peccatori. Non hanno bisogno del medico i sani, ma i malati. Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. Questa affermazione di Gesù, ha come sfondo la chiamata di Levi ed il successivo pranzo con i pubblicani e i peccatori.
In questo brano di Vangelo sento i passi di Gesù, il suo camminare per incontrare, guardare, chiamare, fare una proposta: “passando… vide, disse… seguimi.” Pubblicani e peccatori. Sotto questa qualifica cadevano gli esattori del fisco, i ladri, le prostitute, i pastori, i conciatori di pelli, gli asinari… Si comprende allora la mostruosità del gesto di Gesù: chiama un pubblicano, siede a mensa con i peccatori.
Una reazione logica dei benpensanti, degli osservanti della legge, degli amanti dell’ordine. L’immagine del medico richiama la figura del Signore, che si presenta medico e Salvatore. (cfr Es. 15, 26 – Dt 32,39 – Os 6, 1) Gesù è Dio che sconvolge gli schemi ed i pregiudizi umani con i quali, anche in nome di Dio, nella comunità cristiana si è tentati di ricostruire le caste e le divisioni.
Chi ama mai perde la speranza
Luca 6, 36-38:
“Siate anche voi pieni di bontà così come Dio, vostro Padre, è pieno di bontà. Non giudicate e Dio non vi giudicherà. Non condannate gli altri e Dio non vi condannerà. Perdonate e Dio vi perdonerà. Date agli altri e Dio darà a voi: riceverete da lui una misura buona, pigiata, scossa e traboccante. Con la stessa misura con cui voi trattate gli altri Dio tratterà voi”.
“Siate dunque misericordiosi, come il Padre vostro…”
L’amore umano ha la sua fonte e il suo modello nell’amore di Dio: un amore che, di fronte alla miseria umana, si traduce in misericordia, che vuol dire accoglienza, benignità, fiducia. Questa è la caratteristica biblica dell’amore di Dio: un amore che riparte sempre daccapo, che accoglie e protegge i deboli. (cfr. Es. 33, 19; 34,6)
Misericordia vuol dire non giudicare, non condannare, vuol dire perdono fraterno e accoglienza, vuol dire dare credito al fratello che sbaglia, puntare sul suo futuro, sulle sue possibilità di cambiamento e di novità.
Spesso noi esprimiamo dei giudizi definitivi, immutabili, senza appello. Il fratello che sbaglia è senza futuro. Ci manca la speranza nei riguardi degli altri. Al perdono corrisponde la generosità del dare (Lc. 6, 38) Se siamo solidali con i fratelli, Dio sarà solidale con noi con una “misura buona, pigiata, traboccante”. L’uomo si “misura” alla luce della misericordia di Dio.
Chi ama non cerca il proprio interesse
Matteo 26, 6-13:
Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa. I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: “Perché questo spreco? Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri!”. Ma Gesù, accortosene, disse loro: “Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete. Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei”.
Un banchetto, una cena in casa di Simone il lebbroso, una settimana prima della morte di Gesù. L’attenzione è polarizzata sul gesto eccezionale della donna: essa entra nella stanza dei convitati, dove le donne non erano ammesse se non per servire. Da un vaso di alabastro versa sul capo di Gesù un profumo prezioso e genuino.
Questo gesto suscita tre reazioni:
– Alcuni dei presenti dicono che è uno spreco, anzi un insulto alla povertà.
– Per la donna si tratta di un gesto di stima e venerazione.
– Per Gesù è un azione simbolica, che prefigura la Sua morte.
E questo gesto vale quanto l’elemosina ai poveri, che resta un dovere permanente per i discepoli. “I poveri li avete sempre con voi.” E Gesù fa parte di questa categoria, di questa presenza che accompagna la storia dell’uomo. I poveri hanno bisogno non solo di aiuti materiali, ma anche di gesti di tenerezza, di stima, di affetto. Continuano nella storia la presenza della sofferenza e della morte di Gesù, ma anche del suo amore che salva. Per capire i poveri e il loro valore, la Chiesa non solo deve compiere gesti d’amore verso di loro, ma deve essere povera, distaccata, libera. Dice il Vangelo di Matteo (26, 6-13) che il profumo di quel prezioso nardo si diffuse per tutta la casa. Il profumo della carità verso i poveri deve sentirsi sempre dentro le nostre comunità. È la testimonianza più bella, più vera, più silenziosa ma più sentita e ascoltata del Vangelo di Gesù. Solo una Chiesa povera, può capire i poveri ed essere segno della presenza di Cristo nel mondo e nella Storia. t farsi prossimo