26/03/2020 La lettera di Ilaria Orsi, una studentessa di Cremona, alla sua classe. «Pensandoti vuota mi ferisce il silenzio. Mi mancano le chiacchiere durante il cambio dell’ora, il suono salvifico o di condanna della campanella, le corse affannose per varcare la soglia prima delle 8». La risposta di don Antonio
Dove sei classe? Non ho fatto in tempo a venire a salutarti, purtroppo. Volevo solo dirti che mi manchi. Ti immagino così: un’aula vuota con banchi terribilmente allineati, armadi e sottobanchi (quasi) vuoti e luci spente. Ciò che ferisce maggiormente è il silenzio: non il silenzio di preoccupazione durante la verifica di matematica, non il silenzio di stanchezza della prima ora e nemmeno il silenzio eterno prima che la prof. scelga chi interrogare in Dante.
Niente di tutto questo, purtroppo. È un silenzio tombale, angosciante, insopportabile, quasi irreale. È il silenzio del cuore, il grande vuoto dell’anima. Mi mancano le chiacchiere durante il cambio dell’ora, il suono salvifico o di condanna della campanella, le corse affannose per varcare la soglia prima delle 8 per non essere segnati in ritardo, i richiami degli insegnanti. Mi mancano la scuola, i miei compagni, le mie abitudini: manca la quotidianità, tanto monotona e data per scontata, quanto ricca di valore e preziosità. É triste essersene resi conto solo ora. Anzi, questo non ci dovrebbe stupire: d’altronde il nostro amato odiato Dante faceva pronunciare a Francesca queste parole nell’Inferno: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria”. Historia magistra vitae. Il calendario, che segna inesorabilmente i giorni che ci separano dalla meta, è fermo al 21 febbraio, ultimo giorno di scuola: sembrava un venerdì come altri, ma così non era. Già, era un giorno speciale: abbiamo festeggiato il compleanno di un nostro compagno di classe, finalmente maggiorenne, abbiamo ricevuto dalla Preside il programma per la nostra ultima gita (in Costiera Amalfitana, dove tanto desideravamo andare) e…abbiamo sentito del primo caso di Coronavirus in Italia. Chi era molto preoccupato e già temeva il peggio (“a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”) e chi, invece, forse inconsapevole del rischio che stavamo correndo, lasciava perdere.
Allora non immaginavamo che la nostra vita sarebbe cambiata da un giorno all’altro, che non ci saremmo più visti, inizialmente per qualche giorno, poi per qualche settimana, infine per più di un lungo interminabile mese. Un essere invisibile è entrato nelle nostre vite e le ha sconvolte: classi smembrate, celebrazioni sospese, nonni e nipoti separati. Ci sentiamo impotenti e schiacciati, sembra di essere diventati i protagonisti di quei quadri così malinconici e, per un certo verso, inquietanti di Friedrich. È come se qualcuno avesse ordinato al grande orologio del mondo di fermarsi, il tempo si è cristallizzato, guardando fuori dalla finestra vediamo un quadro black and white, una musica senza parole. Con il nostro impegno e con il nostro sacrificio possiamo, però, ridare colore e brillantezza a questo quadro sbiadito e offuscato. Ringraziamo medici ed infermieri che, come veri eroi, sacrificano la loro vita per il bene degli altri; ascoltiamo e rispettiamo i provvedimenti, in quanto la salute, recita l’art.32 Cost., è tutelata “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Questa deve essere la nostra priorità. “Quand je vous parle de moi, je vous parle de vous” affermava Hugo, “Je est un autre” ribadiva Rimbaud: insomma, per tutti gli sforzi che possiamo compiere, non riusciremo mai ad essere autosufficienti. L’uomo ha bisogno dell’altro. Quando tutto ritornerà alla normalità probabilmente crederemo di aver vissuto in un incubo, sulla “Nuova Atlantide”, un incubo che, però, ha lasciato un segno profondo. Saremo più forti, coraggiosi, responsabili e consapevoli della preziosità delle piccole cose. Quei social a cui tanto siamo legati non ci piacciono più. Per quanto la tecnologia abbia fatto passi da gigante, vedersi su Instagram, Skype e Whatsapp non è come incontrarsi di persona. Solo ora l’abbiamo capito! Supereremo anche questo! A presto a tutti quanti e un grande in bocca al lupo ai miei coetanei per la maturità, un traguardo ad oggi irraggiungibile ma che sicuramente taglieremo brillantemente. Un affettuoso saluto
Ilaria Orsi
Pubblico la tua lettera, Ilaria, perché rappresenta il pensiero, le sensazioni, i desideri di tanti ragazzi che in questi giorni non possono più andare a scuola, ma devono accontentarsi (e non tutti hanno questa possibilità) di lezioni a distanza attraverso il computer. Rispetto a quando hai scritto, il mese di chiusura scolastica si è allungato perlomeno fino ai primi di maggio. Dal ministero dell’Istruzione, attraverso le parole della ministra Lucia Azzolina, fanno sapere che stanno pensando come trovare il modo per far sì che l’anno scolastico sia «valido non solo formalmente ma anche nella sostanza». Anche se i programmi non potranno essere rispettati fino in fondo, la didattica a distanza cercherà di supplire il più possibile. A tutti gli studenti, in particolare quelli che dovranno affrontare gli esami di maturità (tra cui mia nipote), auguro di valorizzare questi giorni di assenza forzata dalle aule, di non dissipare il tempo ma di valorizzarlo anche se le rispettive scuole non sono in grado di garantire in maniera adeguata le lezioni a distanza. Cari ragazzi, l’istruzione non è solo un obbligo, ma un aiuto per la vostra vita. Ne va del vostro futuro. Spero anche che gli insegnanti sappiano mettersi in contatto con gli alunni e non si limitino a caricarli di compiti. Vorrei però sottolineare la parte finale della tua lettera, cara Ilaria. Nell’e-mail di accompagnamento, oltre a specificare che sei una «studentessa della V Liceo linguistico Beata Vergine di Cremona», sottolinei come «in questi giorni difficili, con tanti interrogativi e poche certezze, tra le cose che mi mancano di più c’è la scuola». Non ti mancano, non mancano alle ragazze e ai ragazzi come te, le lezioni, le interrogazioni, le corse per arrivare in orario. Sì, forse anche queste cose. Vi mancano soprattutto i coetanei, l’incontro diretto, potersi guardare negli occhi, gli abbracci. Come scrivi tu stessa, «vedersi su Instagram, Skype e Whatsapp non è come incontrarsi di persona». Non so se usciti dall’incubo Coronavirus avremo imparato questa e altre lezioni di vita. Non so se riusciremo a mettere al primo posto ciò che vale veramente: l’amore, le relazioni, la solidarietà, le carezze, i sorrisi, la gioia di un incontro, la tenerezza verso chi è solo, l’attenzione per gli altri; senza dimenticare la preghiera. Non tutti si ricorderanno, ma mi auguro che siano pochi. E che la maggior parte di noi possa rispecchiarsi nelle parole di Ilaria: «Saremo più forti, coraggiosi, responsabili e consapevoli della preziosità delle piccole cose».
don Antonio
(fonte “Famiglia Cristiana” 30.03,2020)