DiDon
“Il Calabrone”
“Le immagini”
“Omero … le sue interpretazioni
Circolo Enrico Pocci, in Tuscania, dal 1963 al 1965
Il”circoletto” era chiuso da anni: inutile ricercarne i motivi. Era stato scuola di vita e di cultura per tutti gli uomini tuscanesi.
Nell’estate del 1963 iniziò a riprendere vita con l’invito a tutti giovani di Tuscania di riprendere a partecipare ad eventuali attività che si sarebbero potute svolgere.
Tuscania non è mai stata avara di fede e di partecipazione attiva: subito molti giovani (molti vuol dire proprio “molti”) iniziarono a ripercorrere l’androne di entrata e le stanze del circoletto.
Dopo una ripulita molto sommaria ai locali si passò ad una risistemazione del palcoscenico del cinema teatro Pocci ed a bonificare il cortile attiguo al teatro (dove, in passato si proiettavano i film all’aperto) per rendere di nuovo agibili i locali.
I giovani che frequentavano (dai ragazzi delle scuole medie, ai giovani delle superiori e a quelli dell’università) erano tanti da richiedere vari impegni per soddisfare le attese, le esigenze e i desideri di tutti i ragazzi.
Chi erano questi giovani? Chi erano quelli che frequentavano?!
Quelli che la pensavano così:
Dal “Calabrone” il giornalino scritto dai giovani (dal N° 8 del primo anno):
“Chi siamo? Cosa vogliamo?
Forse poche volte abbiamo posto questo problema. Qualcuno ci ha detto che essendo “nulla”, non possiamo volere nulla. Beato lui!
Prendiamo un po’ alla larga l’argomento. C’è una esigenza in noi: chiarificare il compito dei giovani nella società; e noi siamo giovani.
Ci sono due categorie di giovani: alcuni per i quali l’indifferentismo è bandiera; altri credenti in un ideale. Hanno abbracciato una causa; per essa sanno battersi! Sacrificarsi! Sono positivi, almeno nell’impegno.
Ci possiamo definire?
Siamo i giovani dell’ideale. Senza grandi pretese.
Abbiamo un ideale, lo seguiamo con umiltà. E’ un patrimonio di valori inestimabili.
La Patria: società di uomini che amano gli uomini liberi delle altre Patrie.
La Cultura, vera; il progresso, vero; la fede, anche questa vera.
Ci crediamo e fermamente.
Abbiamo una speranza … quindi un avvenire.
Siamo per il futuro, crediamo al bene. Al bene presente e futuro.
Guardiamo al futuro, non disprezziamo il passato.
Crediamo alla nostra grandezza spirituale. Base di essa sono i valori morali, religiosi, civili, culturali.
Vogliamo?
Tutto quello che gli altri dicono di volere: una società migliore, libera, indirizzata ad un fine grande che va più in là delle grandezze materiali; giunge a Colui che Creò il Cielo, la Terra e l’altre Stelle …
Lo vogliamo con le parole.
Lo vogliamo con il cuore … con i fatti.
(Dal N° 5 del primo anno: “Cani e gani”)
“Signore mio, permettimi che ti rivolga una preghiera:
“Non ti chiedo, no’, che questa gente rinsavisca (sarebbe troppo, lo so!) ma fa almeno che, per effetto della vaccinazione antipolio i nuovi nati crescano sani nella mente, prima del tempo.
Fa’ che essi riaffollino le barbierie, non col solo scopo di darsi una guardatina allo specchio e una lisciatina a tutto quell’ammasso di pelame dove non è possibile distinguere i capelli dalla barba e dal resto della pelurie del corpo.
Fa’ che essi non si illudano di essere “piacioni” solo perché somigliano agli orsi; che non confondano la grossolanità, la cafonaggine, con la virilità …
Ricordo a questo proposito di avere udito ad una festa danzante un povero poliomielitico (mentale) o “gano” come dir si voglia, invitare così la sua fidanzata a ballare:
”’Nnamo che mo’ te sbrano!”.
E la poverina, divenuta tutta rossa in viso, quando quel bestione l’ebbe portata in mezzo alla sala con l’eleganza e la delicatezza di un facchino che sposta un armadio, ebbe uno scatto di ira:
“Ammazzete, le’ see grezzo!!”. “Strigne ‘n’altro po’ e poe m’hae bello che scostolato”.
Ma quello niente affatto turbato, storse la bocca nella speranza che apparisse la piega amara e ruggì:
“Aho’! Così se fa! Io so’ un Gano, mica ‘na femminuccia!”.
E spalancò quella caverna che egli si ritrovava sotto il naso nell’intento di ridere, tutto fiero della sua virilità!!”
Le attività sorsero non dall’invenzione di una persona, ma dalle esigenze dei partecipanti; non buchi da riempire con persone, che, poi, si sarebbero dovute trovare per svolgere le attività … come di solito si fa … E’ sempre questa storia: si debbono fare delle cose e si cercano persone che le fanno … e, molto spesso, le solite persone debbono fare le solite mille cose …
Erano persone che avevano e creavano punti di interesse e modi per realizzare i punti di interesse da sottoporre poi alla accettazione degli altri: era rispondere alle esigenze dei tempi. Era anche “conoscere i segni dei tempi”?
L’attività di questi giovani Iniziò la sua vita nell’estate del 1963.
Sorsero quasi per generazione spontanea:
Un giornalino “Il Calabrone” che fu “l’anima del commercio”: un organo di collegamento tra tutti i giovani; punto di comunione con tutti coloro che erano passati dalle “stanze” del circoletto ed erano nostalgici degli anni della loro gioventù e di tanti interessi che li avevano resi entusiasti della vita.
Una Filodrammatica, la Compagnia teatrale “Filodrammatica Il Calabrone”:
subito nel Natale del 1963 le prime rappresentazioni; poi subito a febbraio, poi ad aprile e così di seguito con intervalli molto brevi, necessari soltanto per preparare le scene e provare i testi.
Una caratteristica importante: la Compagnia teatrale era impossibilitata a mettere in scena una Commedia o un Dramma in tre atti. Doveva, per necessità, impiantare tre o quattro scene di un atto ciascuna per poter assorbire la richiesta di partecipazione di non meno di 30-40 giovani per volta, desiderosi di partecipare.
Le suore dell’Asilo Infantile, soprattutto suor Maria Antonietta Gallone, con l’aiuto, quasi nascosto, delle ragazze, pensavano accuratamente e con ogni premura ad allietare tutti gli attori, al termine di ogni rappresentazione, con “tiellate” di pizza a non finire, cotte nel forno dell’asilo.
Non partecipavano le ragazze alla attività del circoletto (solennemente proibito!); partecipavano invece alla stesura degli articoli del Calabrone.
Una orchestrina, “Gli Etruschi”, ancora tradizionale, per quei tempi, ed insieme avveniristica, iniziò subito ad esibirsi o in spettacoli propri o partecipando per allietare gli intermezzi tra una scena e l’altra. La loro sigla musicale divenne un “Tu scendi dalle stelle” ritmato sul cha-cha-cha che qualcuno definì, superficialmente, un po’ dissacrante ed era invece dimostrazione di una attività, non semplicemente culturale, che partiva dal cuore della vita cristiana desiderata e compresa come un traguardo di Bellezza a cui aspirare.
La squadra di Pallavolo: Venne anche iniziata l’attività di una squadra di pallavolo.
Un modo di essere gioioso, entusiasta, fedele:
Non obblighi e leggi, norme di fede da rispettare: invece un anelito di entusiasmo e di gioia da vivere; una bellezza da costruire: era questo lo spirito che animava le attività e gli impegni. Le ore della vita dell’oratorio erano prese non da partite a biliardino o a carte ma da prove di canto, di musica, di teatro, studio di testi, scrittura di articoli, studio della fede. A queste attività, culturali e spirituali, si davano intervalli di gioco per mezzo delle diverse squadre di ragazzi e di giovani che iniziavano l’attività della pallavolo.
La Messa della domenica, nella chiesa di S. Agostino, era il centro di tutte le attività. Sempre tutti, sempre numerosi, sempre entusiasti: era una comunità che nasceva e si ritrovava lieta nel nome del Signore. La vita era una vita di festa.
Il pullman di Garbini (‘l pulma):
Per gli studenti delle superiori il viaggio, ogni mattina, da Tuscania a Viterbo, per andare a scuola, era un momento di conforto – sconforto in attesa che venisse il pomeriggio.
Furono anni troppo brevi.